La Cassazione ha depositato ieri le motivazioni della sentenza con la quale aveva escluso il carcere a vita per Andrei Talpis che nel 2013 aveva accoltellato a morte il figlio adottivo ventenne e tentato di uccidere la moglie. I giudici hanno applicato il Codice penale che mantiene la distinzione con i figli legittimi, negando così la possibilità di contestare l’aggravante prevista dal primo comma dell’articolo 577 che scatta in caso di omicidio del discendente. La Suprema corte precisa che nel caso esaminato andava invece considerato il comma secondo in base al quale «la pena è della reclusione da 24 a 30 anni, se il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo, o contro un affine in linea retta». Per i giudici non c’è dubbio che l’ergastolo non è in linea con il diritto. Tuttavia la pena che la corte d’Assise d’appello dovrà comminare non dovrà essere inferiore ai 16 anni, con lo sconto effetto del rito abbreviato. I giudici con la sentenza 9427 affrontano anche un aspetto procedurale, considerato rilevante: la questione dell’aggravante, non era, infatti, stata sollevata di fronte alla Corte d’Assiste d’Appello, ma riportata soltanto nei motivi di ricorso. Il caso di Andrei Talpis era costato all’Italia una condanna a 30 mila euro inflitte dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Per i giudici di Strasburgo le autorità non avevano fatto abbastanza per proteggere la donna e i figli dalla violenze dell’uomo, malgrado la signora e il ragazzo avessero segnalato le violenze domestiche. “le autorità italiane avevano scritto i giudici – hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto, creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza che alla fine hanno condotto al tentato omicidio della
donna e alla morte di suo figlio”.
Tratto da Sole 24 del 2.3.2018 p. 24 , estratto da Quotidiano del Diritto | 2 marzo 2018 | di Patrizia Maciocchi